Il contesto
La Mongolia è un Paese dell’Asia che confina con Cina e Russia e privo di accesso al mare. Sulla sua superficie, pari a circa tre volte quella della Spagna, vivono meno di tre milioni di abitanti, per il 30% popolazioni nomadi. La maggior parte degli abitanti stanziali è concentrate nella capitale Ulan Bataar.
Protagonista di una transizione pacifica dal comunismo al sistema democratico dopo la lunga dominazione sovietica, la Mongolia sta muovendo i primi passi in direzione di uno sviluppo politico ed economico autonomo. La sua popolazione, perduti gli ammortizzatori sociali del regime comunista, si trova ad affrontare nuove difficoltà sia nelle aree urbane che in quelle rurali e, nonostante le ingenti risorse minerarie, l’economia fatica a espandersi.
La popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà è pari a circa un terzo del totale; nelle zone rurali l’attività principale è la pastorizia che permette la sussistenza e un minimo di scambi a livello locale.
La provincia di Övörhangay e la città di Arvaiheer
La Provincia Övörhangay si trova nella Mongolia centro – meridionale. È una regione prevalentemente montuosa, con picchi di 3.500 metri, e secca. Il fiume che la attraversa, l’Ongiyn, si esaurisce nel deserto del Gobi.
L’attività prevalente è la pastorizia, solo raramente affiancata dall’agricoltura.
Avaiheer, capoluogo della Provincia, conta circa cinquemila abitanti. Costruita sulla steppa desertica all’altezza di 1913 m. sul livello del mare, è una cittadina tranquilla e ospitale. Nel centro ha una piazza, il palazzo di governo, un teatro, un ospedale e un mercato vivace e ben fornito. Oggi conta tre scuole elementari e superiori e una succursale dell’università’ statale di tecnologia. Distante circa 430 chilometri da Ulan Bataar, è il centro degli scambi di bestiame.
I missionari della Consolata ad Arvaiheer
I missionari e le missionarie della Consolata hanno cominciato a lavorare in Mongolia nel 2003. Nel 2007 due padri e tre suore della Consolata hanno aperto una nuova missione ad Arvaiheer e hanno ottenuto dalle autorità locali il permesso per svolgere liberamente attività religiose nella regione di Uvurkhangai. Si è trattato del primo permesso di questo genere concesso ad un ente religioso nella zona, segno della credibilità che i missionari della Consolata hanno acquisito davanti alle autorità nel corso del tempo.
Tra le attività sociali svolte dai missionari della Consolata ad Arvaiheer ricordiamo il servizio presso l’asilo ristrutturato con l’aiuto della Caritas, il sostegno a bambini diversamente abili, coinvolti in un progetto dei servizi sociali nel dicembre 2006, o l’insegnamento dell’Inglese presso la biblioteca regionale. Presso la missione è in funzione anche un centro per adulti e bambini dove si svolgono attività formative (corsi professionali, servizio doposcuola, iniziative di aggregazione, eccetera).
L’emergenza
Il fenomeno del zud
Nel febbraio del 2010 la Mongolia, caratterizzata da inverni rigidi, è stata colpita da un’ondata di gelo particolarmente intensa con temperature che hanno toccato i – 50 gradi.
L’abbondante neve, insieme alle scarse piogge dell’estate-autunno precedenti, hanno creato il fenomeno dello “zud”: scarsità di erba unita a persistenza di freddo e neve hanno fatto sì che gli animali (capre, pecore, cammelli, cavalli, mucche, yak) non riescano più a nutrirsi a sufficienza e muoiano.
Secondo le stime delle Nazioni Unite, almeno un milione e settecentomila capi di bestiamesono andati perduti e si prevede la perdita di altri due milioni nei prossimi mesi, considerando che il clima freddo non si sta attenuando. Le famiglie di pastori nomadi a rischio fame sono oltre ventimila.
Le Nazioni Unite e il governo mongolo prevedono che saranno necessari sei milioni di dollari nei prossimi sei mesi per far fronte all’emergenza e permettere alla popolazione colpita di superare l’inverno.
Riportiamo alcuni stralci di una testimonianza inviata da p. Giorgio Marengo, missionario della Consolata ad Arvaiheer:
«La provincia di Uvurkhangai, di cui Arvaiheer è il capoluogo, è stata una delle più colpite dall’eccezionale ondata. Occorre precisare che in questa zona l’allevamento si pratica ancora secondo la più antica tradizione nomade o seminomade, in assenza di stalle e mangimi, ma con l’unica risorsa del pascolo libero; in anni normali anche in inverno le bestie riescono a procurarsi il sufficiente per resistere, grattando la superficie solitamente poco innevata per brucare quel che resta delle praterie.
Ma quando la neve supera i 30-40 centimetri o addirittura supera il metro, come quest’anno, gli animali restano letteralmente intrappolati: intere greggi e mandrie possono morire nel volgere di un paio di giorni, come è avvenuto nelle ultime settimane.
Alcuni villaggi sono rimasti isolati e il governo ha dovuto inviare camion di aiuti anche alle famiglie rimaste senza possibilità di muoversi e dunque di procurarsi il necessario per vivere, soprattutto legna o carbone da ardere; di solito infatti nelle sconfinate campagne mongole prive di alberi l’unica risorsa è lo sterco secco degli animali, ma anche questo è rimasto sotterrato dalla neve e si deve correre ai ripari.
Dopo una prima ondata di mobilitazione popolare nelle scorse settimane, seguita al diffondersi delle prime notizie preoccupanti, si teme adesso una caduta di interesse e di impegno, mentre le condizioni meteo sono ancora allarmanti e la morsa del freddo non molla. Sul ciglio della strada nazionale che collega la nostra provincia alla capitale Ulaanbaatar si notano cumuli di carcasse di animali morti».
Secondo le informazioni inviate da P. Enzo Viscardi, che riporta i dati a lui forniti dalle autorità mongole, nella Provincia di Övörhangay le perdite di capi di bestiame ammontano a cinquecentomila unità, ventimila della quali nei soli dintorni di Arvaiheer.
Finanziatori
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