Quest’anno concentriamo la campagna di Natale su Venezuela, RD Congo e Tanzania. Sono tre realtà molto diverse fra loro che hanno però almeno due aspetti in comune: una situazione socio-economica difficile e contraddittoria, della quale fanno le spese le fasce più deboli della popolazione, e una carente e spesso fuorviante informazione internazionale su di essi. Da Missioni Consolata di dicembre 2016
1. Venezuela, fra crisi e propaganda
Che il crollo del prezzo del petrolio abbia messo in ginocchio l’economia venezuelana sembra essere l’unico dato certo: su un paese che basa la propria economia su questa risorsa, la diminuzione del costo al barile dai 100 dollari del 2014 ai 50 attuali non poteva non avere ripercussioni pesanti. Ma su questo dato di fatto si contrappongono, sia all’interno del Venezuela che nel dibattito internazionale, visioni sideralmente lontane circa le responsabilità e le possibili soluzioni.
Tutta colpa della rivoluzione bolivariana di Hugo Chavez, dicono i critici dell’ex presidente venezuelano – morto nel 2013 e sostituito dall’attuale capo di stato Nicolás Maduro -, e delle sue politiche socialiste, nazionalizzazione dell’industria petrolifera in testa. «Il Venezuela è una dittatura conclamata», scriveva lo scorso ottobre sul Washington Post Francisco Toro, che in un precedente articolo su The Atlantic indicava come «vero colpevole della crisi il chavismo, con la sua propensione alla cattiva gestione, agli investimenti folli, allo smantellamento delle istituzioni, alle politiche di controllo dei prezzi e del cambio e al ladrocinio puro e semplice».
È vero che già all’inizio del 2014, cioè prima della caduta del prezzo del petrolio, l’economia venezuelana era entrata in recessione, risponde dalle pagine di Le Monde Diplomatique Marc Weisbrot, ed è vero che una profonda opera di riforma è necessaria, a cominciare da un riordino del mercato valutario: a oggi, ci sono tre tassi di cambio a cui si aggiunge quello applicato sul mercato nero, e vanno dai 10 bolivar (la valuta locale) contro un dollaro del cambio ufficiale ai 1.000 del mercato nero (un euro è quasi 700 bolivar con Western Union dall’Italia).
Ma non bisogna dimenticare le ingerenze esterne: il governo degli Stati Uniti promuove da quindici anni un «cambio di regime» a Caracas, ricorda ancora Weisbrot, e sta cercando di destabilizzarne ulteriormente l’economia. Il Fondo Monetario è spesso particolarmente pessimista nelle stime sugli indicatori economici venezuelani e i media internazionali fanno a gara a usare i termini più catastrofisti dimenticando di riportare anche i risultati ottenuti ad esempio dalle misiones, programmi governativi di lotta alla povertà lanciati nel 2003 da Chavez a sostegno dell’accesso alla salute, all’istruzione, al credito per la casa (vedi anche Le due piazze di Caracas di Paolo Moiola, MC 12/2015).
È degli ultimi giorni di ottobre la notizia della visita di Maduro a papa Francesco e dell’intenso lavoro della diplomazia vaticana per promuovere il dialogo tra le forze politiche ed evitare scontri e violenze.
La nostra proposta per il Venezuela
Al di là di queste diatribe, la situazione che i nostri missionari ci raccontano è davvero difficile: mai come quest’anno si sono resi necessari interventi per permettere alle persone di procurarsi cibo e farmaci. Nelle zone come Tucupita gli effetti della congiuntura attuale si accavallano a una situazione di povertà e marginalizzazione che da anni affligge la popolazione locale, appartenente per la maggioranza al gruppo indigeno warao.
La proposta dei nostri missionari è quella di impegnarsi in un progetto di contrasto all’abbandono scolastico dei bambini e adolescenti. Dal momento che il principale problema è l’acquisto del materiale scolastico, il cui prezzo è troppo alto per la maggior parte delle famiglie, il progetto prevede l’acquisto di penne, matite, quaderni e altro materiale. Inoltre, coinvolge le famiglie a contribuire producendo esse stesse borse, astucci e piccolo mobilio per le classi come leggii e tavoli per lo studio, approfittando anche delle competenze acquisite dalla comunità warao grazie a iniziative realizzate in precedenza dai nostri missionari in ambito artigianale.
2. Tanzania, fra Pil e ujamaa
La Tanzania cresce, eccome: le esportazioni fra il luglio 2015 e lo stesso mese del 2016 sono aumentate del 7,5% e lo scorso ottobre il paese ha firmato con il Marocco venti accordi di cooperazione bilaterale per poco meno di due miliardi di dollari nei settori energetico, minerario, tecnologico, agricolo, turistico, finanziario, sanitario e dei trasporti. Ma, come per altri paesi africani che stanno sperimentando simili espansioni, il rischio concreto è che larghe fasce della popolazione tanzaniana restino escluse dagli effetti della crescita.
A differenza del turbolento vicino di casa congolese, in Tanzania – modellata dal mwalimu (maestro) Julius Nyerere, primo presidente e padre fondatore, sul principio dell’ujamaa (comunità-famiglia-fratellanza) – la pacifica convivenza fra gruppi etnici non è mai stata a rischio, ma le diseguaglianze sociali e le sacche di povertà sono tangibili, specialmente nelle aree rurali. Nel maggio di quest’anno, il Programma alimentare mondiale (Pam) ha pubblicato alcuni dati sul paese: nonostante la crescita economica, tre tanzaniani su dieci vivono nella povertà e uno su tre è analfabeta. L’ottanta per cento della popolazione vive di agricoltura di sussistenza e un terzo dei bambini sotto i cinque anni soffre di malnutrizione cronica.
La nostra proposta per la Tanzania
In Tanzania il nostro programma di sostegno a distanza è attivo a Mgongo, Mafinga, Iringa, Morogoro, Ikonda e Tosamaganga. Inoltre, contribuiremo al Day Care Centre di Morogoro, un centro che fornisce a 252 bambini istruzione prescolare. Secondo numerosi studi, infatti, i bambini che hanno fatto un percorso educativo fra i tre e i sette anni ottengono poi migliori risultati nel prosieguo dei loro studi e hanno maggiori probabilità di terminare il ciclo primario. Inoltre, frequentare un centro come questo permette ai bambini di avere una nutrizione più adeguata in anni fondamentali per lo sviluppo psico-fisico.
In particolare, acquisteremo materiale ludico e didattico, cattedre, banchi e sedie, adegueremo il corpo docente alla sempre maggiore richiesta di iscrizioni e doteremo il centro di kit per il pronto soccorso.
3. RD Congo, la difficile via verso le elezioni
Quarantadue anni dopo il celebre incontro fra Muhammad Alì e George Foreman, il grido in lingua lingala che si alza dallo stadio di Kinshasa non è più «Alì, bomaye!», «Alì, uccidilo», ma «Kabila oyebela, mandat esili!», «Kabila, sappilo, il mandato è finito».
Il 19 dicembre termina infatti il secondo mandato di Joseph Kabila, il quarantacinquenne presidente congolese succeduto al padre Laurent Desiré nel 2001 e riconfermato alla presidenza nelle elezioni del 2006 e del 2011, una consultazione elettorale quest’ultima, molto discussa e giudicata irregolare da diversi osservatori fra cui l’Unione europea. Le elezioni erano previste per quest’anno, ma a ottobre un accordo tra il governo e una piccola parte dell’opposizione (nel dialogo intercongolese) ha acconsentito di rimandare il voto al più tardi ad aprile 2018. Si creerà un governo di unità nazionale affiancato da un comitato di accompagnamento, mentre Kabila potrà restare in carica per la transizione.
Ma il grosso dell’opposizione politica e i movimenti sociali non sono d’accordo, così come i vescovi, che hanno abbandonato il «dialogo» a settembre. E, se il conflitto politico a Kinshasa non sempre si limita al confronto dialettico – lo scorso settembre almeno 47 persone sono morte negli scontri fra polizia e manifestanti anti Kabila -, l’Est del paese non ha conosciuto un minuto di vera pace dalla fine della guerra del 1997-2003. Lo scorso agosto i miliziani del gruppo islamista di origine ugandese Adf – uno dei circa settanta gruppi ribelli attivi in Congo – hanno decapitato o bruciato vive trentasei persone a Beni, Nord Kivu.
La nostra proposta per il Congo
I nostri missionari in Rd Congo lavorano da sempre per ampliare quanto più possibile l’accesso all’istruzione e per contrastare l’abbandono scolastico: secondo gli ultimi dati Unicef, i bambini che non vanno a scuola sono 13 su cento, dato che sale a 16 nelle aree rurali. Degli scolarizzati, inoltre, un quarto non arriva alla conclusione del ciclo primario. Le aree su cui ci concentriamo questo Natale sono Kinshasa e Bayenga. Nella capitale, è attivo un programma di sostegno a distanza per i 360 bambini che frequentano la scuola primaria san Giuseppe d’Arimatea, nel quartiere Sans Fils. Attraverso questo sostegno, la probabilità di abbandono scolastico si riduce drasticamente perché risolve a monte il principale problema delle famiglie, quello di coprire i costi per la retta, i libri, il materiale scolastico.
A Bayenga, villaggio in piena foresta pluviale nella provincia Orientale, i nostri missionari lavorano con la comunità dei pigmei Bambuti: qui l’iniziativa è quella di creare e rafforzare una scuola itinerante, che possa spostarsi da un campement (insediamento) all’altro e permettere agli oltre mille bambini non scolarizzati di avere un’istruzione che rispetti e valorizzi anche le specificità culturali del loro gruppo etnico, tuttora considerato, dalla maggioranza bantu, composto da cittadini di seconda categoria.
Grazie perché: ecco alcune delle iniziative (e non sono tutte!) per le quali ci avete aiutati in questo 2016.
Istruzione e sanità
Abbiamo scavato un pozzo a Guilamba, Mozambico, comprato le bici per gli insegnanti a Neisu, RD Congo, dotato di microscopio, centrifughe e altro materiale il laboratorio del dispensario di Mgongo, Tanzania, e messo nuovi banchi, sedie e pc portatili nel centro di formazione per bambini adolescenti e giovani di Tucupita, Venezuela.
Stiamo poi mettendo il fotovoltaico nella Secondary School Mary Mother of Grace di Rumuruti, Kenya, migliorando la cucina della scuola elementare di Blessoua, Costa d’Avorio, lavorando alla scuola di formazione in agricoltura e all’impianto di irrigazione a Maturuca, Brasile, continuando la formazione alla pace per i bambini e le loro famiglie a Cartagena de Chairá, Colombia, e sostenendo il doposcuola e Day Care Centre a
Arvaiheer, Mongolia. Per questi nove progetti e altri 33 ringraziamo la famiglia della signora Piera Guarnaschelli, che ha sostenuto i missionari della Consolata per lunghi anni.
Abbiamo attrezzato l’ospedale di Wamba, Kenya, per il servizio di dialisi, rinnovato il laboratorio, introdotto un sistema di gestione informatizzato, riattivato il servizio di cliniche mobili per i villaggi intorno all’ospedale, intensificato il programma nutrizionale e lanciato una campagna di iscrizione per i pazienti al fondo di assicurazione sanitaria keniano Nhif, che permette la copertura delle spese mediche sostenute.
Per questo progetto, che ha concluso il primo anno e continuerà per altri due, ringraziamo la Conferenza Episcopale Italiana, che ci ha concesso un finanziamento totale di 232.233 euro.
Sostegno a distanza
Anche quest’anno abbiamo sostenuto a distanza circa duemiladuecento bambini, a cui abbiamo fornito istruzione, cibo, cure mediche. Il programma SaD è stato attivato o potenziato anche in Venezuela, Mozambico, Sudafrica, Kenya ed Etiopia.
Attività generatrici di reddito e formazione professionale
Continuiamo a sostenere il panificio a Kinshasa che, grazie alla generosità di donatori privati e di gruppi missionari, cammina sempre di più sulle sue gambe. Anzi, su quelle delle donne di Kin che vanno a vendere il pane prodotto dal panificio.
A Malindi, Kenya, abbiamo concluso il progetto agricolo per le donne e a Kinshasa, RD Congo, abbiamo potuto completare il laboratorio di
elettronica del Centro di formazione professionale per ragazzi non scolarizzati. Grazie a Caritas Italiana per questi e per gli altri microprogetti che ci ha permesso di realizzare.
Acqua
Ringraziamo tutti quanti hanno dato il loro contributo per garantire un sempre più ampio accesso all’acqua per le persone di Mukululu, Kenya, dove si trova il Tuuru Water Scheme, un sistema idrico che serve 250 mila persone e 150 mila capi di bestiame.
Popoli indigeni
Ringraziamo i nostri donatori – organizzazioni e privati cittadini – per la loro sensibilità alla condizione dei popoli indigeni di Roraima, da Catrimani a Raposa Serra do Sol, e il prezioso sostegno alla difesa dei loro diritti.
3.366 grazie
Vorremmo nominarvi e ringraziarvi tutti 3.366 – singoli privati, organizzazioni, associazioni, gruppi missionari, parrocchie, congregazioni, aziende, scuole – perché ci avete affidato il vostro denaro, magari togliendolo al budget per la spesa e passando i fine settimana a organizzare eventi per le missioni, ma, anche usando tutte le pagine di questa rivista, non ci sarebbe abbastanza spazio per descrivere che cosa ciascuno di voi ci ha permesso di realizzare.
Noi, però, conosciamo i vostri nomi uno per uno, e una per una rispettiamo le intenzioni che accompagnano la vostra donazione: quello che ci avete affidato è diventato quaderni, pompe idriche, cibo, farmaci, microscopi, sementi, salari dei maestri, attrezzi agricoli, letti per il parto, avvocati che hanno difeso minoranze ingiustamente espropriate, cacciate, aggredite.
Grazie a voi, anche nel 2016 abbiamo scritto una bella storia: siamo pronti a scrivere insieme il prossimo capitolo.
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