La Costa d’Avorio ha vissuto un lungo periodo di conflitto latente e instabilità iniziato nel 2002 con la guerra civile, che ha opposto I ribelli del nord guidati da Guillaume Soro al governo centrale del presidente Laurent Gbagbo. Tra i principali motivi del contendere, la sperequazione economica e lo stato di precarietà nel quale vivevano le popolazioni del nord, composte anche da immigrati dei Paesi limitrofi che si trasferivano in Costa d’Avorio per lavorare nelle piantagioni di cacao e cotone.
Il dibattito sulla cosiddetta “ivorianità”, cioè sull’appartenenza alla nazione ivoriana, ha infuocato gli animi delle due parti in lotta poiché da quella definizione dipendeva in concreto, lo svolgersi del censimento che a sua volta avrebbe determinato la compilazione degli elenchi di aventi diritto al voto. Il governo centrale, infatti, era consapevole del vantaggio che avrebbe ottenuto il partito dei ribelli se fossero stati riconosciuti come ivoriani i milioni di togolesi, burkinabé, maliani, senegalesi e guineani che abitano il nord del Paese. D’altro canto, le mai chiarite influenze dei Paesi confinanti, in particolare del Burkina Faso, e il ruolo che la Francia ha avuto nel conflitto fornivano al governo centrale il pretesto per parlare di ingerenza straniera negli affari interni di uno stato sovrano.
Dopo il governo di transizione che ha visto Gbagbo e Soro governare insieme, si sono svolte nel novembre 2010 le elezioni presidenziali che hanno visto la vittoria del candidato del partito di opposizione Alassane Ouattara. Il presidente uscente Gbagbo, però, ha inizialmente rifiutato di abbandonare la carica e nel Paese si è creata una situazione di stallo che si è poi conclusa con l’arresto di Gbabo che ora si trova all’Aja per rispondere davanti al Tribunale Penale Internazionale di crimini contro l’umanità. Nonostante l’uscita di scena di Gbagbo, i suoi alleati in esilio nei Paesi confinanti continuano a osteggiare il governo di Ouattara. Inoltre, nel marzo 2013, le parte occidentale del Paese è stata percorsa da diversi attacchi provenienti dai Paesi limitrofi condotti da gruppi armati non identificati che hanno provocato circa tremila rifugiati. Questi vanno ad aggiungersi ai circa 186 mila sfollati interni che si concentrano specialmente nella parte occidentale del Paese.
Nel gennaio 2016, tuttavia, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha deciso di ridurre entro il 31 marzo il personale militare della missione di peacekeeping nel paese (UNOCI), dati i «considerevoli e continui progressi» nel consolidamento della pace e della stabilità.
Per il 2020, il Fondo monetario internazionale riportava per il Paese una crescita – benché ridotta a causa della pandemia – intorno al 2,7% (per l’Europa si stimava una contrazione del 6,7%); le elezioni presidenziali, previste per il 31 ottobre 2020, hanno inoltre generato qualche tensione. Il presidente in carica Ouattara aveva annunciato nel 2017 la sua intenzione di non ricandidarsi, ma ha rivisto la sua decisione dopo la morte nell’agosto 2020 di Amadou Gon Coulibaly, primo ministro e potenziale successore di Ouattara alla guida del partito. La riproposizione del sua candidatura, insieme all’esclusione da parte del Consiglio costituzionale delle candidature dei principali avversari del presidente, cioè l’ex premier Guillaume Soro e l’ex Presidente Laurent Gbagbo, ha creato tensioni, scontri e alcune vittime in diverse città ivoriane. Le elezioni si sono concluse con la vittoria di Ouattara.