In salita, lo sprint dell’Etiopia

In vent’anni l’Etiopia ha visto uno sviluppo molto più rapido e diffuso rispetto alla maggior parte dei suoi “colleghi” africani. I problemi da risolvere rimangono tanti, ma l’Overseas Development Institute di Londra cita il paese come un esempio a cui guardare quando si parla di efficacia nel ridurre la povertà. Vediamo da vicino la ricetta di questo ancora incompleto ma significativo successo descritta nel rapporto ODI.

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Campi coltivati nell’Arsi (Etiopia centro-meridionale)

In poco meno di vent’anni, l’Etiopia ha visto un declino della povertà estrema fra i più ampi al mondo. Se nel 1995 solo un terzo della popolazione viveva con una cifra pari o superiore a 1,25 dollari al giorno, nel 2011 le proporzioni si erano invertite: due terzi degli etiopi erano riusciti a oltrepassare quella soglia. Questo fa del paese est-africano uno dei pochi del continente ad essere molto vicino alla realizzazione del primo Obiettivo del Millennio, che prevedeva il dimezzamento della quantità di persone che vivono in povertà estrema entro il 2015.

Non solo: l’Etiopia è riuscita a raggiungere questo risultato senza fare aumentare le disparità, cioè garantendo che il miglioramento delle condizioni di vita toccasse quasi tutta la popolazione. In molti altri paesi africani, invece, un aumento del reddito in media c’è stato, ma in concreto questo maggior reddito è concentrato nelle mani di una fascia più ristretta della popolazione.

Questi i dati con cui l’Overseas Development Institute (ODI), un centro di ricerca britannico punto di riferimento nell’analisi dello sviluppo, apre il suo rapporto One foot on the ground, one foot in the air: Ethiopia’s delivery on an ambitious development agenda, pubblicato lo scorso settembre. Alla base dei buoni risultati ottenuti dall’Etiopia, si legge nel rapporto, c’è una forte determinazione del governo che, sin dai primi anni della presidenza di Meles Zenawi nella seconda metà degli anni Novanta, ha pianificato lo sviluppo in modo multidimensionale, concentrandosi cioè su più settori e più gruppi beneficiari. Mentre altri paesi sub-sahariani hanno inserito nelle loro politiche di riduzione della povertà gli Obiettivi del millennio perché spinti dai paesi donatori, il governo etiope li ha fatti propri in maniera attiva e ha coinvolto in questo anche le amministrazioni etiopi a tutti i livelli.

A questo proposito, molte sono le voci che si sono levate e si levano per segnalare la scarsa competizione politica, la poca partecipazione civica e le limitazioni alle attività delle organizzazioni della società civile in Etiopia; ma il rapporto dichiara espressamente di non occuparsi di questi pur rilevanti aspetti. L’attenzione, in altre parole, si concentra sul fatto che nell’ultimo ventennio le amministrazioni e i gruppi di interesse – politici ed economici – di un intero paese sembrano aver “remato nella stessa direzione”. Per amore o per forza che fosse.

Aree rurali al centro dello sviluppo

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Mucche al pascolo nell’Arsi

Secondo il think tank inglese, questo risultato è ancora più degno di nota considerando che l’Etiopia partiva da una situazione più critica rispetto agli altri paesi africani: negli anni Novanta usciva infatti da anni di carestia e conflitto ed era all’epoca uno dei paesi più poveri del mondo. Il miglioramento è divenuto particolarmente evidente negli ultimi dieci anni, in cui il reddito pro capite è aumentato dai 110 dollari del 2002 ai 498 del 2013.

Il maggior benessere ha interessato specialmente le aree rurali, sulle quali il governo ha investito massicciamente. Consapevole che l’estrema povertà si concentrava proprio nelle campagne, il governo etiope è intervenuto per ri-orientare la produzione agricola su colture più redditizie, diversificarla ed estenderne la scala, anche attraverso la formazione per gli agricoltori realizzata in oltre novemila centri, uno per villaggio, utilizzando solo parzialmente i fondi dei donatori e investendo per lo più risorse proprie.

Dal momento che l’accesso al mercato era per i piccoli coltivatori uno dei principali ostacoli, l’Etiopia si è lanciata nella costruzione di strade rurali: oggi, per raggiungere una strada praticabile anche durante le piogge, sono necessarie poco meno di quattro ore, contro le sette impiegate dai contadini fino al 2001. Il programma nazionale di protezione sociale etiope, inoltre, è il più esteso in Africa e ha permesso di contenere i danni provocati dalle carestie e di sostenere le regioni afflitte da carenza cronica di cibo.

In numeri, il risultato è che nel 2009 circa la metà delle famiglie erano proprietarie di buoi, mentre nel 1994 solo una famiglia su dieci ne disponeva; circa novanta famiglie su cento possiedono anche strumenti agricoli (zappe), contro le sessanta famiglie di vent’anni prima. In metà delle case nelle zone rurali è presente una radio, mentre prima si trovava solo presso una famiglia su dieci.

Istruzione, obiettivo quasi raggiunto

Oltre al miglioramento delle condizioni relative al reddito, l’Etiopia è uno dei pochissimi paesi ad esser prossima a raggiungere anche il secondo Obiettivo del Millennio: l’educazione primaria universale. Se nel 1992 un bambino in età scolare su cinque frequentava la scuola primaria, oggi gli iscritti sono quattro su cinque. Fin dal 1997 l’incremento delle scuole primarie è stato pari al 190 per cento e 19 mila scuole elementari sono state costruite fra il 1992 e il 2012.

Quanto alla scuola secondaria, lo sviluppo è stato molto più lento e limitato rispetto alla primaria anche a causa del fatto che il grosso delle scuole secondarie è concentrato nei centri urbani: solo una famiglia rurale su tre vive a meno di dieci chilometri da una scuola secondaria. In termini assoluti, comunque, gli iscritti sono passati dal mezzo milione dell’anno scolastico 1996/97 ai quasi ventidue milioni del 2012/13.

L’istruzione ha avuto a sua volta effetti positivi proprio sullo sviluppo economico specialmente delle aree rurali: le fattorie in cui i membri della famiglia hanno ricevuto un’istruzione tendono ad avere raccolti più abbondanti, a concentrarsi su prodotti più redditizi, a gestire acqua e suolo in maniera più efficiente e a intraprendere attività parallele all’agricoltura. In alcuni casi, queste attività parallele si concretizzano nell’avvio di piccole imprese nelle città, ciò che permette agli agricoltori di poter proteggere meglio il proprio reddito in caso di raccolti scarsi.

Lavoro e industria

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Un cantiere ad Addis Ababa

La disoccupazione è diminuita nelle aree urbane – dal 26 al 16 per cento – mentre nelle zone rurali è al due per cento. Il lavoro salariato è aumentato ma rappresenta ancora un parte piuttosto ridotta del totale. Questo è dovuto soprattutto al fatto che nelle aree rurali l’impiego prende la forma di collaborazione alle attività agricole familiari o di lavoro in proprio più che di occupazione salariata.

Altro ambito nel quale il governo etiope si è impegnato è quello dell’incoraggiare il cambiamento strutturale dell’economia. Oltre a mettere in campo provvedimenti per rendere l’agricoltura più produttiva, l’Etiopia ha cercato di canalizzare la ricchezza prodotta dal settore agricolo verso altri ambiti produttivi e ha intrapreso interventi diretti in direzione dello sviluppo industriale.

Un dato per tutti: mentre il contributo dell’agricoltura al prodotto interno lordo nei primi anni Novanta era del 59 per cento, alla fine degli anni Duemila si era abbassato al 42. Segno, questo, che altri settori produttivi hanno ampliato il loro contributo al PIL.

Grandi opere pubbliche, finanziamenti a favore del settore privato, miglioramento dell’accesso al credito hanno contribuito a creare posti di lavoro e a gettare le basi per un indotto legato alle attività minerarie, alle costruzioni, alla manifatture e ai servizi, tutti ambiti su cui il governo ha scommesso. Il settore dei servizi alle imprese – quello legato cioè all’intermediazione finanziaria, all’immobiliare, alla manutenzione eccetera – sta avendo un ruolo trainante.

Quello che non va

Ma, avverte il rapporto, se questi miglioramenti ottenuti dal governo etiope sono certamente da salutare come un notevole successo, molti sono i problemi ancora da risolvere.

Innanzitutto, fra il 2005 e il 2011 l’accesso ai benefici della crescita ha avuto una brusca interruzione per quanto riguarda i più poveri e uno studio della Banca Mondiale di quest’anno ha mostrato che alcune famiglie sono addirittura più povere rispetto a dieci anni fa.

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Una strada in Oromia durante la stagione delle piogge

Inoltre l’accesso quasi universale alla scuola primaria non corrisponde a un equivalente miglioramento della qualità dell’istruzione. Il numero di studenti per classe – in Etiopia spesso organizzate in turni suddivisi fra mattina e pomeriggio – rimane molto alto, pari a 54 allievi, e la proporzione di maestri e alunni è di un insegnante per 49 scolari. Quasi tre quarti degli studenti che accedono all’esame del Grade 10 (il secondo anno di secondaria) non ottengono il voto minimo richiesto per passare l’esame, il che testimonia che gli studi precedenti sono insufficienti. Inoltre, l’abbandono scolastico è ancora molto elevato e meno della metà degli studenti che vanno oltre il Grade 5 completano poi di fatto il ciclo primario che si conclude con il Grade 8.

Il numero degli alunni iscritti alle primarie pur avendo un’età superiore a quella prevista per quel ciclo scolastico è ancora molto elevato, segno che l’entrata in classe è speso tardiva o discontinua. Il governo etiope destina un quarto della spesa pubblica all’istruzione e, a fronte di uno sforzo così cospicuo – che solleva dubbi sulla sua sostenibilità – i risultati non sono del tutto soddisfacenti.

Quanto all’impiego, se i tassi di disoccupazione sono incoraggianti, è vero anche che questi non sono sufficienti a dipingere tutto il quadro. Oltre alla disoccupazione, infatti, occorre valutare anche il peso della sotto-occupazione, aumentata nelle aree urbane fra il 2005 e il 2011, e dell’occupazione di bassa qualità, mentre nelle zone rurali il lavoro informale è ancora molto elevato.

Per affrontare queste sfide, conclude il rapporto dell’ODI sarà necessaria una triplice strategia che combini ulteriore supporto alla produttività agricola, l’espansione dell’industria manifatturiera ad alta intensità di lavoro e l’aumento della disponibilità dei bacini da cui attingere lavoratori specializzati.