L’agricoltura familiare è un modello vincente dal quale possono venire molte delle risposte alle esigenze di sostenibilità ambientale e sociale e di umanizzazione del mercato. Ma occorre promuoverla e sostenerla attraverso norme adeguate, sensibilizzazione dei consumatori e coinvolgimento il più ampio possibile delle aziende di distribuzione. Queste, in somma sintesi, le conclusioni emerse dell’evento organizzato dalla Focsiv lo scorso 4 dicembre a Roma, dal titolo “Volontariato internazionale e agricoltura familiare dopo la Laudato Sì”.
Il convegno, che si è svolto presso la sede di Coldiretti a Palazzo Rospigliosi e che ha incluso, nella mattinata, la consegna del Premio del Volontariato internazionale, ha dedicato la sessione pomeridiana al tema “Agricoltura familiare, un modello produttivo e sociale adeguato per nutrire il Pianeta in modo sostenibile”.
Moderato dalla giornalista di IlSole24Ore Anna Maria Capparelli, il dibattito si è aperto con l’intervento di Guido Cisternino, responsabile Enti, Associazioni e Terzo Settore di UBI Banca, che ha sottolineato la natura anti-ciclica di settori economici legati ai beni primari come l’agricoltura e l’alimentare, capaci di resistere alla crisi in modo molto più efficace rispetto ad altri comparti dell’economia. L’agricoltura in Italia, ha poi ricordato Cisternino, è spiccatamente familiare: il 97 per cento delle aziende agricole sono infatti ditte individuali e il settore ha registrato negli ultimi anni anche un buon coinvolgimento dei giovani.
A seguire, l’intervento del policy officer di Focsiv, Andrea Stocchiero, si è concentrato su tre aspetti: l’agricoltura familiare e le sfide che deve affrontare, il cambiamento climatico e il fenomeno migratorio.
Negli ultimi quindici anni, ha spiegato Stocchiero, ci sono indubbiamente stati avanzamenti significativi verso l l’obiettivo di ridurre la fame; occorre ora capire e discutere il come di questi progressi. La Cina, ad esempio, ha fatto passi avanti da questo punto di vista, ma attraverso investimenti in grandi economie di scala, non certo in agricoltura familiare. Contemporaneamente, però, il problema dell’inquinamento nel colosso orientale è letteralmente esploso, al punto che alla COP21, la conferenza sul cambiamento climatico in corso a Parigi fino all’11 dicembre, il governo cinese è fra quelli più impegnati nella ricerca di soluzioni.
Accanto al modello agro-industriale cinese, poi, c’è un’agricoltura – quella irlandese ne è un esempio – che è, sì, familiare ma di grande scala, gestita da famiglie e grandi aziende che coltivano migliaia di ettari. Occorre concentrarsi sulla piccola agricoltura familiare, che è attualmente una nicchia di mercato, chiederci come farla accedere al mercato più ampio e domandarci anche se e come questo tipo di agricoltura sia davvero la risposta adatta per nutrire il pianeta in modo sostenibile.
L’ottanta per cento di ciò che viene consumato sul pianeta, continua Stocchiero, viene dalla piccola agricoltura familiare, eppure le famiglie di agricoltori nel sud del mondo sono quelle più vulnerabili. È necessario, allora, studiare forme di protezione dei mercati a difesa del reddito di queste famiglie e connettere questi sforzi con un lavoro più ampio rivolto a modificare nella stessa direzione gli impianti normativi e le scelte politiche dei governi.
Quanto agli aspetti ambientali, Stocchiero ricorda che circa un terzo delle emissioni di carbonio sono imputabili all’agricoltura, ma il settanta per cento di queste derivano dalla grande agricoltura di scala, non da quella familiare. È fondamentale che la COP21 affronti questi aspetti, introduca nel quadro normativo vincolante – che ha mandato di produrre – un riferimento esplicito alla sicurezza alimentare e inverta la tendenza al disimpegno del dopo-Copenhagen (dove si era svolta, nel 2009, la COP precedente): dei cento miliardi di dollari promessi in quell’occasione dai paesi ricchi a quelli poveri per affrontare le conseguenze del cambiamento climatico, ne sono stati finora mobilitati molto meno della metà.
Altro tema strettamente legato ai precedenti è quello dei cosiddetti profughi ambientali, che nel 2014 sono stati 56 milioni: si tratta di persone costrette a lasciare i loro paesi a causa di catastrofi legate ai mutamenti climatici che hanno reso impossibile la sopravvivenza in quei luoghi. A livello internazionale ci si sta interrogando sulla necessità di riconoscere anche a questi migranti lo status di rifugiato. Ma le tensioni nel dibattito attuale sul fenomeno migratorio non creano certo un clima adatto a favorire interventi di assistenza e protezione per questa categoria di profughi.
Del resto, lascia perplessi vedere come la Commissione europea, dopo il summit UE-Africa a La Valletta dello scorso novembre, abbia messo a disposizione 1,8 miliardi di euro per un fondo fiduciario di emergenza destinato all’Africa per affrontare in modo più efficace il fenomeno migratorio, mentre ne darà tre alla Turchia per la gestione dei campi profughi e dell’emergenza rifugiati.
Ultimo intervento della conferenza è stato quello di Vincenzo Linarello, presidente del Gruppo cooperativo Goel della Locride. Goel, attivo in diversi campi che includono formazione, turismo, assistenza sanitaria e creazione d’impresa, ha anche una “costola” agro-alimentare, il Goel-bio.
In Calabria, denuncia Linarello, c’è un vero e proprio progetto di precarietà, che usa la creazione della precarietà come strumento di controllo del territorio. In ambito agricolo, due sono i principali problemi da affrontare: il primo è l’aggressione sistematica alle aziende agricole attraverso il pascolo abusivo sui campi coltivati, l’incendio dei campi, i danni ai mezzi agricoli. Questi soprusi continuano, spiega Linarello, finché l’agricoltore, esasperato, non è costretto a rivolgersi al capo locale dei gruppi mafiosi e ad assoggettarsi. Il secondo è l’esistenza di una vera e propria filiera dello sfruttamento: il problema non è il singolo produttore che fa lavorare il migrante in condizioni inaccettabili, ma un più ampio meccanismo di controllo e lottizzazione della produzione che soffoca il mercato.
Goel ha calcolato in quaranta centesimi al chilo il prezzo minimo garantito agli agricoltori per le arance, contro i cinque del “mercato”. Richiede ai produttori aderenti la sottoscrizione di un protocollo volontario che prevede, ad esempio, ispezioni a sorpresa nei campi, espulsione immediata e multe per danno all’immagine di Goel per le imprese aderenti sorprese a ricorrere al lavoro nero.
L’agricoltura familiare, afferma il presidente di Goel, è nel DNA storico della Calabria: sono molte le famiglie che si producono l’olio, le conserve, la frutta, la verdura. Ma, superata la produzione di sussistenza e creato un surplus commercializzabile, cominciano i problemi: la parcellizzazione delle aziende crea costi e inefficienze e, per andare oltre la sussistenza familiare, è necessario aggregarsi.
Quanto alla possibilità di ampliare il mercato per la piccola agricoltura familiare, Linarello non ha dubbi: bisogna per forza coinvolgere la grande distribuzione organizzata (GDO). Se la GDO si limita a comprare senza fare verifiche, la filiera dello sfruttamento non si interromperà: anche la distribuzione deve farsi carico dell’eticità della filiera e non limitarsi a richiedere ai fornitori autocertificazioni, dichiarazioni, documentazione antimafia. Deve, invece, incontrare i produttori e accertarsi che la produzione sia etica e trasparente dall’inizio alla fine.
La conferenza si è chiusa con l’intervento del presidente Focsiv, Gianfranco Cattai, che ha parlato della campagna Abbiamo RISO per una cosa seria. La campagna, giunta alla sua tredicesima edizione, è promossa da Focsiv e 34 suoi soci, ha visto impegnati quattromila volontari nelle piazze, nelle parrocchie e nei mercati di Campagna Amica. I fondi raccolti in cambio di un pacco di riso cento per cento di coltivatori italiani vanno a sostenere trentamila famiglie in Asia, Africa e America Latina. Non è più solo una campagna, ha spiegato Cattai, ma una proposta culturale, che vede nel sostegno all’agricoltura familiare uno strumento imprescindibile per rispondere in modo sostenibile ed efficace all’esigenza di intere comunità di raggiungere la sicurezza alimentare e tutte le ricadute che da questa derivano in fatto di salute, istruzione, miglioramento della condizione della donna.