L’Italia, l’UE e l’agenda di sviluppo post-2015

Pistelli@UIPE
Il viceministro degli Affari Esteri Lapo Pistelli alla Giornata di consultazione nazionale sull’Agenda di sviluppo post-2015

«Chiedo alla società civile di continuare a innalzare il livello di ambizione, però aiutiamoci reciprocamente a abolire i “ma anche” e ad arrivare a dei “dunque”». Sceglie la concretezza il viceministro agli Esteri Lapo Pistelli nel suo intervento di oggi a Roma alla Giornata di consultazione nazionale sull’Agenda di sviluppo post-2015 promossa da Concord Italia, il capitolo italiano della confederazione europea delle ONG, e da GCAP, la Coalizione contro la povertà. Riproponendo una metafora a lui cara, Pistelli ha ribadito la necessità di definire una «grammatica comune dello sviluppo» in contrapposizione alla lista quasi enciclopedica di scopi e obiettivi – circa centosessanta – individuati in sede ONU nel lavoro preparatorio per definire l’agenda di sviluppo che sostituirà gli Obiettivi del millennio. L’ambizione italiana nel semestre di presidenza europea per quanto riguarda lo sviluppo è quella di arrivare a una posizione comune e sintetica, ha concluso il viceministro che sulla riforma della cooperazione italiana recentemente approvata ha assicurato: «Potranno volerci non sei mesi ma sei mesi e dieci giorni, ma siamo già al lavoro per l’implementazione perché vorremmo che il 2015 fosse davvero l’anno in cui la nuova cooperazione italiana entra visibilmente in campo».

La giornata di consultazione, che si è svolta in una gremita Sala delle Bandiere dell’Ufficio di Informazione in Italia del Parlamento Europeo, ha visto riunirsi rappresentanti delle istituzioni, della società civile e del mondo accademico per discutere lo stato dell’arte nel processo che porterà i nuovi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile a succedere agli Obiettivi del millennio. Base della discussione è stato il documento prodotto dal gruppo di lavoro aperto delle Nazioni Unite che, a detta delle reti di ONG, rischia per la sua troppo complicata articolazione di obiettivi e sotto-obiettivi di restringere invece che ampliare l’incisività della prossima agenda di sviluppo.

«Manca completamente una diagnostica oggettiva», spiega Stefano Prato della Society for International Development «e si celebrano i pretesi successi degli Obiettivi del Millennio sostenendo ad esempio che la povertà estrema definita come la condizione di avere un reddito inferiore a 1.25 dollari al giorno è stata dimezzata, ma di fatto i presunti “non più poveri” continuano a soffrire la fame». La fame è il risultato dell’ingiustizia, non della scarsità: bisogna ripartire dall’equità sociale ed economica, sostengono Concord e GCAP, non solo fra paesi ma anche all’interno dei paesi stessi e integrare la dimensione economica con quella ambientale e con la consapevolezza dei limiti della “capacità di carico” del pianeta. L’opinione pubblica, non solo il livello governativo e istituzionale, va inclusa fin da subito nel processo di definizione dei nuovi obiettivi e vanno affrontati i temi della migrazione e della mobilità umana che per il momento, in quanto argomento di conflitto fra nazioni, sono stati trattati solo superficialmente in sede ONU come in sede UE.

Quanto alla partecipazione del settore privato, uno dei temi più caldi dei dibattiti degli ultimi mesi, GCAP e Concord sono molto dirette nel sostenere che è necessario ri-orientare l’attuale modello di business nella direzione di una maggior inclusione e responsabilità sociale, o si rischierà di rinforzare le attuali pratiche economiche insostenibili se non addirittura predatorie.
Solo t
ra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo, con la chiusura del semestre di presidenza italiana dell’UE, da un lato e il rapporto sintetico del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulle negoziazioni, dall’altro, sarà chiaro quanto queste richieste della società civile hanno ricevuto ascolto.