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Sostegno ai popoli della Terra indigena Raposa Serra do Sol – Brasile

Il lavoro dei missionari della Consolata nella Terra indigena Raposa Serra do Sol è iniziato nei primi anni settanta del secondo scorso. Cruciale fu l’impegno che le comunità indigene assunsero nell’aprile 1977, riuniti a Maturuca, a 320 km da Boa Vista, quando decisero di eliminare l’alcol dalle loro comunità e di avviare il processo di organizzazione che culminò nella creazione del Consiglio Indigeno di Roraima (CIR) e che lanciò la lotta di liberazione delle terre indigene dal latifondo e dai cercatori d’oro.

Un grande impulso alla causa indigena lo ha dato i Progetto “Una mucca per l’indio”, lanciato nel 1980 fornendo 52 capi di bestiame a ogni comunità. Nel momento di massima espansione del progetto, la Tirss ha potuto contare su una mandria comunitaria di 30.000 capi di bestiame, raggiungendo l’autonomia alimentare.

Oggi lavorare in terra indigena significa principalmente due cose: fare da forza di interposizione fra gli indios e i vari poteri che, per favorire i propri interessi economici, vorrebbero spazzarli via, e accompagnare le comunità nella loro lotta per il riconoscimento effettivo e tangibile dei loro diritti. Sostenere una scuola o un centro di salute in questi luoghi non è solo sostenere interventi educativi o sanitari, ma riconoscere il diritto di questi popoli a esistere. A queste iniziative si affiancano poi il sostegno nell’organizzazione di incontri, la pubblicazione di documenti, la mobilitazione delle comunità per campagne, proteste, manifestazioni.

Ecco perché non solo pozzi, dispensari e scuole, ma anche cancelleria per gli incontri, spese di pubblicazione, di consulenza, costi per i viaggi sono fondamentali perché rendono possibile il lavoro dei missionari con i popoli indigeni e la difesa dei popoli indigeni stessi.

Senza il carburante che permette ai missionari a visitare le comunità, senza gli avvocati, gli esperti di biodiversità e di diritto alla terra che danno alle richieste degli indios una base tecnica e giuridica, senza i viaggi e il cibo per gli incontri degli insegnanti indigeni che si organizzano e si mobilitano, i popoli dell’Amazzonia rischierebbero di essere dispersi, cancellati e dimenticati.

Per questo vi chiediamo di sostenere il nostro lavoro accanto ai Makuxi, ai Patamona, ai Taurepang, ai Wapixana, agli Ingaricò del Roraima, le cui rivendicazioni sono così simili alle nostre quando lottiamo perché i nostri prodotti tipici non siano spazzati via da quelli dei colossi multinazionali, o chiediamo che lo stato ci difenda dal potere economico di pochi, dall’omologazione culturale, dall’informazione manipolata contro cui i cittadini non hanno potere.

In questo senso, è indispensabile prestare speciale attenzione alle comunità aborigene con le loro tradizioni culturali. Non sono una semplice minoranza tra le altre, ma piuttosto devono diventare i principali interlocutori, soprattutto nel momento in cui si procede con grandi progetti che interessano i loro spazi. Per loro, infatti, la terra non è un bene economico, ma un dono di Dio e degli antenati che in essa riposano, uno spazio sacro con il quale hanno il bisogno di interagire per alimentare la loro identità e i loro valori. Quando rimangono nei loro territori, sono quelli che meglio se ne prendono cura. Tuttavia, in diverse parti del mondo, sono oggetto di pressioni affinché abbandonino le loro terre e le lascino libere per progetti estrattivi, agricoli o di allevamento che non prestano attenzione al degrado della natura e della cultura.
Laudato Sì, 146

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