Deve essere l’Africa a salvare l’Africa

relatoriConvegno
Samia Nkrumah e padre Giulio Albanese

«Più coraggio: questa è la via da seguire». Non ha dubbi Samia Nkrumah, parlamentare ghanese relatrice oggi al Seraphicum di Roma nel Convegno Africa, continente in cammino, su quello che il continente deve fare per innovare la propria politica e affrontare i propri problemi. A cominciare dall’economia: «Mio padre», eroe dell’indipendenza e primo presidente delle repubblica ghanese «diceva sempre che l’Africa è ricchissima e gli africani sono poveri: dobbiamo riuscire a controllare la nostra economia e metterla al servizio del welfare degli africani, sganciandoci dai meccanismi dei prestiti internazionali».

Istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale chiedono tagli a settori cruciali come sanità e istruzione e questo non fa che aumentare la povertà, continua Nkrumah. I paesi africani, inoltre, esportano materie prime e importano prodotti lavorati: «è concentrandosi sulla produzione sulla trasformazione interna che creeremo lavoro e solo così i nostri giovani non avranno più bisogno di emigrare». Infine, un appello a non abbandonare il sogno del panafricanismo, tema tanto caro a Kwame Nkrumah stesso, perché è nell’unità che l’Africa trova la sua forza. Un esempio? «Ghana e Costa d’Avorio producono da soli il sessanta per cento del cacao mondiale. Se unissero le forze riuscirebbero a controllarne il prezzo».

Una posizione, questa del protagonismo dell’Africa, in linea con l’anniversario che il Convegno ha celebrato, cioè i 150 anni del Piano per la rigenerazione dell’Africa che Daniele Comboni scrisse a partire dal 1864 e nel quale esortava a salvare l’Africa con l’Africa e gli africani ad essere missionari di se stessi, come hanno ricordato in apertura Luzia Premoli e Enrique Sanchez, i superiori generali rispettivamente dell’istituto femminile e di quello maschile dei missionari comboniani.
Alla tavola rotonda della mattinata, moderata da padre Giulio Albanese, ha partecipato anche Cécile Kyenge, eurodeputata ora correlatrice del rapporto del Parlamento europeo sull’immigrazione insieme alla collega maltese Roberta Metsola. Il rapporto, precisa Kyenge, sarà la base per ripensare la politica europea sull’immigrazione. «Non si può lasciare a un solo paese tutto il carico della gestione della migrazione, che è un fenomeno naturale e va affrontato insieme, in un’ottica di solidarietà e equa ripartizione della responsabilità fra i paesi UE, come richiede l’articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea». Altri punti chiave saranno anche la lotta ai trafficanti, il rafforzamento delle vie legali di immigrazione e la semplificazione delle direttive per l’asilo.
Mario Raffaelli, presidente di AMREF, ha poi affrontato il tema della geopolitica e degli interessi economici in Africa e ha sottolineato che, se il rinascimento africano è la presa di coscienza che la soluzione ai problemi del continente deve venire dal continente stesso, i paesi del nord nel mondo hanno un ruolo fondamentale nel facilitare o, al contrario, nell’ostacolare il processo. Alfredo Mantica, ex-sottosegretario al Ministero degli Affari Esteri e senatore, ha poi toccato il tema degli interventi italiani in Africa sottolineando che l’Italia non ha mai davvero fatto i conti con il proprio passato: da un lato non vuole ammettere di essere stata una potenza coloniale e, dall’altro, non mette nei propri libri di storia l’emigrazione italiana. Il nostro ruolo nel continente, ha affermato Mantica, «deve essere quello di pacificatori, di portatori di processi di pace». Infine Maurizio Simoncelli dell’Archivio Disarmo ha fornito una panoramica sul business degli armamenti.

ConvegnoAfricaInCammino
Il pubblico del Convegno

Nel pomeriggio il Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace Cardinale Peter Turkson e il professore della Pontificia Universtà Lateranense Martin N’Kafu hanno offerto una panoramica del cammino della Chiesa in Africa e della teologia africana, mentre il procedere della società civile verso la New Africa è stato illustrato da tre giovani relatori a vario titolo impegnati in quello che è il quotidiano della costruzione di questa nuova Africa che vuole prendere in mano le proprie sorti. Ngalula Beatrice Kabutakapua, co-produttrice del docu-film Invisible cities, ha raccontato la sua esperienza che l’ha portata a documentare la vita dei migranti in diverse città d’Europa e del mondo per scardinare gli stereotipi nella narrazione e nella percezione del fenomeno migratorio. Françoise Kankindi, che lavora come quadro alle Poste italiane ed è presidente della Associazione Bene Rwanda Onlus, ha poi condiviso le sue riflessioni sull’essere politici africani in Italia a partire dalla sua candidatura alle elezioni regionali nel Lazio. «A volte durante le elezioni gli africani rischiano di fare un po’ da specchietto per le allodole, perché si possa dire che c’è integrazione e intercultura», ha detto Kankindi, ma bisogna andare oltre e puntare su un lavoro più in profondità che cambi davvero la visione che in questo paese si ha dei migranti. «Per me “Africa in cammino”», ha concluso, «è la capacità di reinventarci la nostra vita dovunque ci troviamo a vivere»,  partendo spesso da traumi e sofferenze come quelli che lei stessa si è trovata a dover affrontare essendo figlia di tutsi ruandesi rifugiati nel 1959 in Burundi per sfuggire al primo genocidio e avendo poi perso gran parte della famiglia nel genocidio del 1994. Infine, Fortuna Ekutsu Mambulu ha parlato di cooperazione e solidarietà internazionale e ha anche sottolineato come di quest’Africa in cammino siano ottimi esempi alcuni africani che si trovano oggi a rivestire ruoli di grande prestigio, come il franco-ivoriano Tidjane Thiam, ora a capo del Crédit Suisse, Okwui Enwezor, nominato direttore del Settore Arti Visive della Biennale di Venezia, e la stessa Cécile Kyenge, che ha avuto dalle urne la conferma della fiducia degli elettori italiani. Particolarmente vivace è stato il dibattito che ha seguito questa terza sessione: relatori e pubblico si sono confrontati sulla necessità di studiare e anche di riscrivere la storia africana e di affrontare le tragedie come i genocidi sedendosi a un tavolo per capire perché si siano verificate e costruire poi su quella sofferenza un impegno per evitare altre sofferenze.
Domani il Convegno si concluderà con la sessione Media e giornalismo sull’Africa e con l’Africa a cui fanno da premessa le osservazioni avanzate già nella prima giornata da padre Albanese circa la necessità di operare un «decentramento narrativo che metta nel cuore del racconto» l’Africa, anzi, «le Afriche».

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25 marzo 2015

“Piano” e “Cuore”, le parole chiave dell’Africa in cammino 

Sintesi del Convegno

Il Convegno Africa Continente in Cammino rappresenta «una svolta: non ci potrà mai più essere uno sguardo negativo, sfiduciato, dubbioso, catastrofico e triste sull’Africa». È Fulvio De Giorgi, professore di Storia della pedagogia e dell’educazione all’Università di Modena e Reggio Emilia, che traccia la sintesi del Convegno del 13- 15 marzo scorsi organizzato dai missionari comboniani nell’anniversario dei 150 anni del Piano per la rigenerazione dell’Africa, nel quale Daniele Comboni esortava a salvare l’Africa con l’Africa e gli africani ad essere missionari di se stessi.

Le parole chiave emerse dal convegno sono, secondo De Giorgi, due: “Piano” e “Cuore“.

Un piano è un progetto e chiama a decolonizzare lo sguardo sull’Africa per vedere nitidamente l’Africa che cresce, che ha un peso internazionale sempre maggiore, che sta vivendo un Rinascimento attraverso i suoi giovani, protagonisti della New Africa. Ma la prima parola-chiave richiama anche l’idea di appianare, cioè di mettere tutti sullo stesso piano. Un piano nel quale l’Africa ha diritto a controllare la propria economia, ad aspirare di nuovo al panafricanismo, a colmare i baratri della corruzione e a darsi una democrazia autonoma e nuova, diversa dal modello europeo. Infine, “piano” significa anche “lentamente”: servono pazienza, perseveranza, attenzione a non lasciare nessuno indietro e uno sforzo di purificazione della memoria, in un processo che permetta di superare le ferite derivate dalle discriminazioni e dai conflitti.

La secondo parola è “Cuore”: «nel cuore di Cristo, i movimenti di diastole e sistole sono l’incarnazionismo e l’escatologismo». Il primo consiste nell’entrata del Vangelo nei contesti culturali (l’inculturazione): «oggi il Vangelo ha un volto meticcio» e può accogliere e valorizzare «tutti i semi del Verbo sparsi nelle culture e religioni africane viventi». Questa incarnazione mette al centro la vita ed è perciò nemica di ciò che la nega: traffico di esseri umani, schiavitù e ogni orizzonte di violenza e di morte. Il ruolo dei media, in questo contesto, non è quello di «dare paternalisticamente voce a chi non ha voce», ma piuttosto di «non dare ulteriore voce a chi ne ha già troppa» e rendere «visibile e trasparente il positivo che cresce».

Infine, “Cuore” significa anche capacità di staccarsi dall’ingiustizia e di guardare oltre il mondano: «Senza incarnazionismo», conclude De Giorgi, «avremmo una Chiesa senza mondo (che ci porta ad un mondo senza Chiesa) avulsa dalle masse umane, senza escatologismo avremmo una Chiesa mondanizzata e mondana, incapace di essere libera e indipendente per interpellare le masse».

Leggi la sintesi del convegno: